giovedì 24 marzo 2016

"L'ultima cena"

L’ “Ultima cena” di Leonardo da Vinci
A Milano presso il convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, l’ex refettorio rinascimentale conserva la famosissima “Ultima cena” di Leonardo da Vinci dipinta sulla parete di fondo, che è tra le più celebri opere pittoriche di tutti i tempi. Tema della composizione è il momento in cui Gesù, secondo il racconto evangelico (Matteo 26,20-25), annunciò che uno degli apostoli lo avrebbe tradito, con la commovente risonanza provocata dalle sue parole in ognuno dei presenti. Da qui una ricchezza di spunti e di notazioni drammatici che, nel differenziarsi delle reazioni psicologiche dei singoli personaggi, distaccano l'opera di Leonardo da quelle con soggetto simile. Nella scena, ancorché debitrice dei modelli fiorentini, si riscontra una più rigorosa e logica articolazione compositiva, poiché gli apostoli sono riuniti a gruppi serrati di tre per tre, non lasciando Giuda da solo, dietro una lunga mensa che interrompe la fuga prospettica di un’aula spoglia. Al centro della tavola la figura del Cristo si isola nella sua calma dolente e campeggia contro la luminosità di una porta aperta su un lontano paesaggio. L'artista realizzò il dipinto avendo soprattutto in vista il significato che poteva assumere la sequenza concatenata dei gesti delle figure, come fonte di movimento e di individuazione delle masse plastiche. Si notino i rapporti prospettici che tendono a prolungare l'ambiente reale in quello figurato: lo spazio tra la mensa e la parete di fondo è identico a quello reale di metà refettorio. L’opera è danneggiata dal tempo e dagli uomini (alla fine del Settecento il refettorio fu adibito a stalla dai soldati francesi) e dalla tecnica stessa di Leonardo che la dipinse tra il 1496 e il 1497 a tempera, invece che a fresco; ma la sua suggestione resta intensissima. La Cena è la più vasta (460×880 cm) opera di pittura di Leonardo a noi pervenuta − dopo la rovinata Battaglia di Anghiari − nonché una delle più famose di tutta la storia dell'arte. Purtroppo per poter condurre con maggior agio il lavoro, egli scelse in luogo della tecnica dell’affresco (che costringe a dipingere sull'intonaco ancora fresco con prontezza e decisione), quella a tempera su due strati oltre l'arriccio, il secondo dei quali con prevalenza di gesso. Ciò provocò in breve, per le condizioni di umidità dell'ambiente, un gravissimo deperimento del dipinto. L’Ode per la morte di un capolavoro, scritta da Gabriele D'Annunzio nel 1901, fu l’origine del restauro del 1908, il primo condotto con metodo scientifico. Si cercò infatti, in ogni tempo, di porre rimedio con interventi di restauro, ultimamente ripresi con procedimenti più razionali. Lo stato di conservazione è stato almeno fissato e, per quanto possibile, migliorato nel corso di uno dei più lunghi e capillari restauri della storia, durato dal 1978 al 1999, con le tecniche più all'avanguardia del settore.
‪#‎frateindovino‬

2 commenti:

Ravecca Massimo ha detto...

L’immagine della ferita al costato della Sindone di Torino ricorda il volto del guerriero centrale urlante della Battaglia di Anghiari. Ma I geni hanno un volto simile e operano in modo analogo. (cfr. ebook/kindle. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo). Nel gioco di specchi che si crea, ne consegue che la Battaglia di Leonardo è nascosta dietro gli affreschi del Vasari a Palazzo Vecchio, Vasari ricoprì con un intercapedine di mattoni la Trinità di Masaccio recuperata nell’800. (Cfr. ebook/kindle. Leonardo e Michelangelo: vite e opere). Grazie,

§^_^§ ha detto...

Ti ringrazio per le informazioni. :)
Betta